Estraniare i segni. Il destino moderno dell’immagine-fantasma
Abstract
Traduzione di Annabella Canneddu
La narrazione sulle conquiste formali che permise ad Alfred Barr di dare un senso progressivo al cumulo di opere europee che costituivano il fondo iniziale del MoMA ricevette, intorno alla metà del secolo, la «validazione» teorica da parte di autori come Hans Sedlmayr e Clement Greenberg. Sedlmayr riconobbe nelle maggiori mostre di quella che cominciava ad affermarsi come «arte moderna» la proprietà essenziale e differenziale di «essere totalmente “pura”». Tale purezza, intesa come proprietà ontologica, e che secondo l’autore poteva anche sovrapporsi alle nozioni di autonomia e autarchia, avrebbe dovuto compiersi in maniera «assoluta» (vale a dire, libera da ogni causalità che non fosse quella della stessa autogenesi dell’opera) e staccata da qualsiasi vincolo o ibridazione per quanto riguardava i mezzi e le possibilità delle diverse arti; dunque l’esigenza di purezza andava intesa come il non essere affatto ciò che non si era sostanzialmente.