Il problema delle unità minime nella scrittura azteca. Contributo ad una teoria integrata della scrittura
Abstract
In un saggio scritto più di trent’anni or sono e ripubblicato dopo la sua morte Giorgio Raimondo Cardona si sforzava di valutare l’utilità di una teoria grafemica struttura- lista modellata sulla fonologia, e ricorrendo ad esempi tratti da sistemi di scrittura noti e meno noti (ma sempre di tipo fonetico) metteva in luce la scarsa applicabilità di una nozione di grafema che “non è altro che un nome dotto per ‘lettera dell’alfabeto’”. Cardona sottolineava tre gravi limiti della “grafemica autonoma”:
- 1. Poiché l’isomorfismo tra catena parlata e catena scritta non è sempre perfetto, la grafemica non spiega fenomeni come le abbreviazioni grafiche o ad es. i “complessi grafici” del tibeta- no.
- 2. La individuazione delle “unità minime” su basi fonologiche (i grafemi) – e, negli ulteriori sviluppi della teoria, quella dei tratti distintivi grafici – è frutto di un pregiudizio “tipografi- co” e non trova riscontro effettivo nei criteri di elaborazione di particolari sistemi grafici, come l’armeno o il palhavi.
- 3. La grafemica autonoma non è suscettibile di ampliamenti che affrontino la costellazione di fatti sociologici connessi all’uso di un sistema di scrittura.
Si tratta di verificare l’efficacia delle brillanti proposte che il compianto linguista aveva avanza- to per superare i limiti della grafemica in vista di una teoria “integrata” della scrittura.