Foresta di notte, fenomenologia di una Unreal City
Abstract
In Nightwood della scrittrice americana Djuna Barnes, expatriée a Parigi tra gli anni Venti e Trenta, la città diventa quel non-luogo metodologico capace di tradurre ed esemplificare la demistificazione, di eco modernista, delle categorie di spazio, tempo e identità a partire da una riconsiderazione ed esasperazione del concetto di limite. In uno scenario di stagnazione temporale e di sradicamento dal luogo di origine e quindi dalla memoria e dalla storia, le descrizioni dello spazio straniero, spesso onirico o derealizzato, funzionano come pretesto per mettere in scena una radicale riformulazione delle coppie paradigmatiche. Parigi, quasi irriconoscibile e disgregata, diventa una variazione della Unreal city eliotiana, trasfigurazione di una terra perduta, circo dell’ibridazione, non-luogo dell’ambivalenza. In una città letteralmente trasformata in foresta di notte, il confine diventa la frontiera tra una notte «che dura da un pezzo»- la notte delle avventure omosessuali, delle flâneries senza meta e del travestitismo - e un giorno sempre più spinto all’angolo - il giorno dei codici morali del puritanesimo patriarcale che si sgretola.