Grazia Basile, La conquista delle parole. Per una storia naturale della denominazione, Roma: Carocci, 2012.

Il linguaggio rivelatore

Agendo e parlando gli uomini mostrano chi sono, rivelano la loro identità personale unica e fanno così la loro apparizione nel mondo umano, mentre la loro identità fisica appare senza alcuna attività da parte loro nella forma unica del corpo e del suono della voce. In tutto ciò che si dice e si fa è implicita la rivelazione di chi si è, che è diverso dal che cosa si è.1 Una rivelazione. Per Hannah Arendt questo è ciò che il linguaggio offre: la possibilità di un passo più in là (o più in qua) dal regno degli animali. Una rivelazione del Mondo e dell'Altro, laddove vi è solo Natura fatta di materia ed energia. In Arendt il potere rivelatorio della parola (che, per l'appunto, non s-vela ma ri-vela, cioè riforma o riorganizza ricostruendo caratteristiche e funzioni) produce sulla base di una grigia e fredda “materia-individuo” un meraviglioso “artefatto-uomo”, che segna nuovi spazi di interazione con la Natura (che, in questo modo, si fa Mondo) e con individui diversi (che si fanno Altri). Così nasce una sfera di significazione – cioè dei sensi esperiti, anche solo nella nostra testa, come le immaginazioni –, che è un mondo dove alle parole, intese come atto fonatorio, si uniscono le attività con cui esse si realizzano nella vita, cioè i modi in cui vengono vissute;2 un mondo dove il linguaggio entra completamente nel gioco complesso delle interrelazioni naturali.3 Ed è proprio il gioco complesso tra linguaggio e vissuto, quando la parola diviene un “atto rivelatorio”, che marca fin dal principio l'opera di Grazia Basile, La conquista delle parole. Per una storia naturale della denominazione (da ora CdP), nel percorso che va dallo spazio della parole a quello della langue, al crocevia tra linguistica, filosofia del linguaggio, (neuro)psicologia dell'età evolutiva e semiotica. Il largo respiro del testo, capace di muoversi tra le varie prospettive disciplinari senza perdere solidità teorica, rende il lavoro di Basile particolarmente prezioso. Il testo può essere suddiviso in due momenti essenziali: il primo, con la strutturazione di una prospettiva epistemologica funzional-interazionista, dove Basile elabora gli strumenti teorici che caratterizzano il proprio studio; e un secondo, dove presenta una rassegna critica dei modelli di acquisizione del linguaggio, degli studi sulla formazione del vocabolario del bambino e sui deficit anomici. In questa sede, data la ricchezza di contenuti e lo spessore teorico del testo, riteniamo opportuno concentrare l'attenzione sul quadro teorico di riferimento e sulla sua strutturazione, che rimette in questione una serie di nodi problematici della filosofia del linguaggio, suggerendo un percorso fortemente interdisciplinare che reputiamo di grande valore.

La base funzional-interazionista

L'approccio proposto da Basile, definito funzional-interazionista, rappresenta il nucleo epistemologico di riferimento e, già nei primissimi passaggi, è possibile riconoscere con chiarezza una serie di coordinate essenziali, che ricorreranno spesso nel testo:

il nostro radicamento in un determinato universo simbolico-culturale […] ci dà la misura del nostro essere [che] contribuiamo a definire attraverso le nostre esperienze e i nostri discorsi, anche quando questi ci portano lontano. È a partire dall'universo simbolico-culturale in cui nasciamo e in cui si trovano le fondamenta del nostro vivere sociale che prende corpo l'acquisizione del linguaggio da parte del bambino (CdP, p. 29).

Non vi sarebbe denominazione se non vi fosse quella funzione simbolica basilare, specie-specifica e altamente caratterizzante, che marca tutta l'attività cognitiva dell'uomo. Nel bambino ciò è evidente fin dai primi approcci coscienti con il mondo che lo circonda, quando ancora non vi è una stabilizzazione della capacità linguistica ma, ciononostante, già appare quella che Basile chiama una vocazione semiotica – una capacità di collegare una serie di segni (fonetici, espressivi, cinesici, eccetera) alla realtà che esperisce –. Nei primissimi anni di vita, infatti, linguaggio e pensiero sembrano intricarsi in uno spazio cognitivo dove la dimensione pratica è determinante; intrigo che, col tempo, il bambino impara a controllare e sviluppare.4 Il linguaggio, da questo punto di vista, diventa una risposta adatta a una realtà complessa, fatta di molteplici e differenti modalità di interazione su piani e prospettive sempre nuove ma che, proprio in virtù della loro mutua azione formante, possono essere riportate a (o simulate sulla base di) schemi noti: così, Basile sottolinea come il linguaggio non sia solo funzionale al rapporto pratico col mondo, ma anche alla sua interpretazione e condivisione. La significazione, ovvero la funzione semiosica in sé, in questa ottica partecipa alla catena linguaggio-conoscenza-azione attraverso quell'utensile degli utensili 5 che è il linguaggio.

Da un lato, abbiamo gli strumenti “esterni” che hanno caratterizzato il funzionamento della mente della specie umana e favorito la soluzione di problemi […] Dall'altro lato, poi, si sono sviluppati anche gli strumenti “interni”, quali i segni, i simboli e il linguaggio, come mezzi per interagire con gli altri e che, al pari di quelli esterni, sono fondamentali nella soluzione di problemi. […] Il linguaggio gioca un ruolo fondamentale costituendo il più sofisticato e potente degli “strumenti culturali protesici” attraverso il quale vengono via via negoziate le relazioni interpersonali (CdP, p. 40).

Questo vuole dire considerare non solo il mondo del linguaggio, ma anche il linguaggio del mondo. Ogni situazione si carica di reti interattive di parole che contribuiscono alla sua stessa strutturazione, immergendosi nel vissuto sociale e culturale, al pari di azioni e percezioni, attraverso anzitutto la funzione denotativa e successivamente quella connotativa – per cui da un mondo di parole sperimentiamo le parole del mondo –. Significazione e comprensione sono sempre condizionati dai sistemi cognitivi e affettivi di un organismo-mente e dalla sua enciclopedia fatta anche (o piuttosto!?) di linguaggio.

La necessità di “dare senso al mondo” – come ha sottolineato Bruner – già dal semplice atto di riferirsi a qualche cosa nell'intento di dirigere su di essa l'attenzione di un altro richiede delle forme elementari di negoziazione sociale e dunque è un processo di tipo ermeneutico (cfr. Bruner 1986) che ben caratterizza la natura sociale e cooperativa del linguaggio (CdP, p. 44).

È questa la “cifra” interazionista che sceglie Basile, considerando l'essere umano (e così i suoi processi di articolazione del senso intorno a un universo di significazioni) nella dimensione interrelazionale propria che lo caratterizza, fin dai primissimi anni di vita.6 Pensiero narrativo e script Una delle caratteristiche proprie della cognizione umana è la capacità di interpretare, e dunque comprendere, gli avvenimenti sulla base delle relazioni che questi intessono con il resto del mondo. L'esperienza soggettiva, in questo modo, si situa nello spazio e nel tempo concorrendo all'affermazione del soggetto come identità, e prima ancora come “attante”,7 in un panorama più vasto; le sue componenti, prese singolarmente, non hanno significato se non quando si inseriscono in una dimensione in cui assumono un certo valore relazionale definito dal vissuto. Questo è il presupposto del pensiero narrativo sviluppato da Jerome Bruner8 e intorno al quale Basile articola buona parte del suo lavoro:

La peculiarità del pensiero narrativo è di comprendere […], di dare un'interpretazione dei fatti umani sulla base di storie basate sull'intenzionalità degli individui partecipanti alle interazioni sociali e sulla sensibilità al contesto. […] Il pensiero narrativo è dunque quello più adeguato per cogliere il mondo sociale, per afferrare il senso dell'esperienza umana a livello di emozioni e affetti (CdP, p. 55).

Il passo successivo sarà quello di individuare in che misura queste narrazioni possono rendere conto degli aspetti più strettamente cognitivi legati all'esperienza: così, il recupero della nozione di script, elaborata da Charles Fillmore nella sua grammatica,9 diviene particolarmente efficace a questo scopo. Basile sottolinea, anche alla luce delle recenti acquisizioni nel campo delle scienze della mente, che il semplice meccanismo dell'associazione non è sufficiente alla formazione di “nuclei di significazione” – e alla semiosi – che dimostrano viceversa un'organizzazione più simile a modelli schematici articolati secondo componenti generiche (come “agente”, “esperiente”, “strumento”, eccetera).

Gli schemi o script forniscono la base dell'organizzazione categoriale della memoria semantica: la base di conoscenze dei bambini piccoli è organizzata inizialmente in maniera schematica piuttosto che tassonomica e gli script, le rappresentazioni degli eventi sono una forma, per dir così, “basica” di rappresentazione concettuale per il bambino, soprattutto in età prescolare. […] Siamo dunque di fronte a una connessione di natura profonda, vitale, a una relazione stretta tra esperienza, linguaggio e memoria (CdP, pp. 59-60).

Nell'impianto di Basile, quindi, la stretta interconnessione tra esperienza e linguaggio, in primo luogo, garantisce non solo la tenuta del percorso interpretativo con il quale diamo un certo senso al mondo (o meglio, un suo specifico certo senso), ma anche di una base comune per l'interscambio di informazioni, idee, stati d'animo, eccetera. Alla radice della comprensione, dunque, vi è la (potenzialmente) sconfinata possibilità di schematizzazione degli eventi e la loro condivisione e co-determinazione sociale; eventi che costituiscono, per dirla con Greimas e Courtés,10 la superficie discorsiva entro cui la relazione soggetto-oggetto si rende problematica. Nel ricercare continuamente uno spazio di significatività per se stesso e per ciò che ha intorno, l'uomo stimola “trame di valori” con il mondo, cioè individua dei ruoli, si inserisce in uno spazio-tempo, produce certi atteggiamenti, definisce le proprie passioni, eccetera. In definitiva, egli “innesca” una certa identità che fa da mappa ipostatica per l'articolazione dei concetti semantici di base – un “io”, un “tu”, un “che cosa”, un “quando e dove”, un “come e perché”, eccetera –, e sulla quale, molto probabilmente, prendono a funzionare quei dispositivi logici e simbolici alla base di tutta la conoscenza.

Il farsi e il ri-farsi del linguaggio

La conoscenza è qualcosa di costruito e ri-costruito continuamente attraverso proprio quell'operazione (necessaria a generare nuclei di significazione) di schematizzazione logica e narrativa del rapporto tra soggetto e oggetto. Qui l'influenza piagetiana è forte: lo sviluppo cognitivo e quello linguistico sono un continuum generativo di strutture e processi di interazione col mondo; non si parla dell'individuo e della sua mente, ma della mente dell'individuo insieme alle altre menti e agli eventi del mondo.11 Il gioco complesso diventa un gioco psico-semiotico, profondamente incarnato nell'individuo e radicato nel reale, dove il piano sociale e culturale è profondamente e incessantemente coinvolto.

La comunicazione linguistica tra esseri umani può realizzarsi solo quando c'è qualche “sfondo comune” (frame attentivo condiviso) tra parlante e ascoltatore che definisce il contesto per l'interpretazione delle specifiche intenzioni comunicative che stanno dietro a una parola o un enunciato (CdP, p. 101).

Per Basile, quella degli esseri umani è una naturale vocazione a stabilire spazi di conoscenza condivisa e significativa; la costruzione di “mondi di parole” e di “parole del mondo” avviene simultaneamente e in modo altamente coordinato. Linguaggio e cognizione si “co-modellano” attraverso le relazioni cui il soggetto è sottoposto e nella dimensione storica che ne cristallizza i percorsi, e così essi si formano (e si riformano) sempre, in un'intricata tela di piani del reale – è per questo che Basile sente il bisogno di guardare alle origini dello sviluppo, alla scoperta del farsi e rifarsi del lessico e dei primi vocabolari –. Un'analisi dell'organizzazione e dell'utilizzo del primo lessico nei bambini ci aiuta a comprendere meglio come le pratiche e le strategie cognitive giochino un ruolo essenziale, insieme al contesto sociale e all'ambiente culturale in cui il bambino cresce. A ulteriore dimostrazione del coordinamento profondo tra lingua e cognizione, Basile prende infine in esame gli studi su pazienti affetti da afasia anomica, che mostrano strategie di “accomodamento” (repair) molto simili a quelle che i bambini utilizzano in casi di incertezza o difficoltà; l'esperienza dell’organismo nel suo ambiente avviene come costante dialogo attraverso quella che potremmo chiamare una geometria di significati che si spinge oltre il qui e ora.

Lessico ed esperienza hanno un rapporto di sinergia che è al tempo stesso reciproco e necessario: non potrebbe darsi lessico senza esperienza e quest'ultima non troverebbe espressione costante e durevole senza il lessico (CdP, p. 210).

In conclusione, questo prezioso contributo di Grazia Basile non ci sembra solo un denso progetto teorico, ma anche un forte stimolo alla realizzazione di solidi percorsi di ricerca interdisciplinare. La capacità di muoversi con disinvoltura e accuratezza tra i molteplici ambiti problematici (dalla neuropsicologia alla filosofia del linguaggio, alla semiotica, eccetera), illuminando a tutto tondo il linguaggio nei diversi aspetti delle sue facce (per dirla con Tullio De Mauro)12 fa de La conquista delle parole un testo di riferimento, in questo ambito, di fondamentale interesse multidisciplinare.