Gloria Galloni

Recensione di William R. Uttal, The New Phrenology : The Limits of Localizing Cognitive Processes in the Brain, Cambridge, MA: MIT Press, 2001.

L’avvento delle tecniche di neuroimaging funzionale negli ultimi due decenni ha rivoluzionato gli studi sulle funzioni cognitive, producendo una vera esplosione di ricerche mirate a individuare la localizzazione nel cervello di vari compiti cognitivi, assumendo di svelare in questo modo il funzionamento della mente. Il localizzazionismo si basa, sin dalle origini, sull’assunto fondamentale secondo cui è possibile suddividere la mente in sotto-unità che lavorano autonomamente, aventi ognuna una sede specifica nel cervello. Tale tesi viene fatta risalire all’opera di F.J. Gall, nella cui Frenologia egli mira ad identificare gli organi cerebrali responsabili delle diverse facoltà dell’anima. Ed è proprio alla Frenologia che Uttal ci richiama, sin dal titolo, in modo provocatorio per lanciare una critica al localizzazionismo ‘forte’ che sottende larga parte degli attuali studi di brain imaging. In questo sta l’importanza del testo di Uttal: già più di dieci anni fa, egli ha voluto suggerire una riflessione sul modo in cui i risultati provenienti dalle tecniche di imaging venivano interpretati e diffusi, una riflessione importante dunque, sulla localizzazione delle funzioni cognitive e sui modelli di architettura cognitiva, ovvero fondamentalmente sulla tesi della modularità della mente. Il paradigma modulare, nato nel contesto funzionalistico e computazionale tipico della scienza cognitiva classica, assumendo in linea generale la specificità per dominio di almeno parte (in Fodor, la parte percettiva e motoria; 1983) dei processi cognitivi, è stato infatti subito accolto come ipotesi metodologica da seguire anche sul versante neuropsicologico per spiegare la selettività dei deficit cognitivi, e poi per interpretare le selettive attivazioni rilevate dal neuroimaging. Ben presto si sono avvertiti i limiti, in tutte le scienze della mente, di tale modello, che tuttavia - nonostante le varie versioni sviluppate ed i numerosi dibattiti - è ancora oggi il più conosciuto e, per lo più, accettato.

L’Autore rende esplicita la sua tesi sin dalle prime pagine, asserendo che sebbene il cervello sia sicuramente differenziato, le funzioni cognitive più complesse non possano essere giustificabilmente associate con specifiche aree cerebrali, poiché necessitano di un’attivazione distribuita e dinamica di molte aree cerebrali. Una tesi coerente con i risultati delle attuali ricerche neurocognitive, ma che porta Uttal in una direzione psicologista antiriduzionista, a nostro parere non giustificata, che accomuna l’Autore alla tesi modularistica fodoriana per la quale solo i processi cognitivi periferici sarebbero modulari, mentre il ‘sistema centrale’ sarebbe olistico, non scomponibile, contro la visione della modularità massiva o darwiniana, secondo cui tutta l’architettura cognitiva dev’essere considerata in termini modulari (cfr. Carruthers, 2006). 

Il testo ruota attorno a tre domande cruciali: (1) la mente può essere suddivisa in sottosistemi, o moduli? (2) la mente lavora in maniera equipotenziale o modulare? (3) ammessa l’esistenza di moduli, essi sono localizzabili? (p. 1).

Per discutere di questo, egli nel primo capitolo offre una rapida ricognizione storica del localizzazionismo, dall’antica Grecia alla neuropsicologia classica, passando per gli studi arabi del IX-X secolo, le scoperte neuroanatomiche del XVII secolo, la suddivisione tra nervi spinali sensoriali e motori di Bell e Magendie, l’applicazione della corrente elettrica per lo studio delle funzioni motorie (Fritsch e Hitzig), e poi lo studio clinico delle funzioni propriamente cognitive (Broca, Wernicke…). Molto interessante, seppur non scevro di imprecisioni epistemologiche: ad esempio, parlando di Galeno asserisce che la tricotomia percezione-pensiero-movimento è ancora oggi alla base della nostra idea di organizzazione delle funzioni cerebrali e cognitive (p. 8).

Nel secondo capitolo, invece, Uttal analizza le diverse tecniche di neuroimaging, descrivendone il funzionamento in maniera semplice anche per i non addetti ai lavori, e offrendo una valida critica metodologica dei limiti delle varie tecnologie. Questa rilevante parte del testo ci offre un approccio critico con cui leggere i risultati sperimentali, e spinge a ridimensionare l’idea di una diretta correlazione tra processi mentali e aree corticali.

Nel terzo capitolo l’Autore entra nel vivo della sua tesi, tentando di dimostrare i limiti (e l’impossibilità di creare) una tassonomia dei processi cognitivi, ovvero asserisce - a partire da un’indagine storico-epistemologica, che tocca tra gli altri Gall, Kleist, Fodor, Shallice, Galton, Sternberg e Gardner - che gli scarsi progressi compiuti nella direzione di una suddivisione funzionale della mente dimostrerebbero che non vi è possibilità di localizzare tali funzioni cognitive (“phantoms”, p. 211) nel cervello, poiché - a suo parere - non esiste nessun costrutto psicologico da localizzare.  

Infine, nel quarto capitolo egli discute dei problemi metodologici e concettuali che devono condurre a ripensare il modo di intendere la localizzazione dei processi cognitivi più elevati: soprattutto, la discussione s’incentra sulla necessità di riconoscere l’esistenza di un’attivazione neurale distribuita e una notevole interconnessione funzionale, e sull’assunzione del fatto che una lesione (ma anche la doppia dissociazione) può solo indicare la necessità del funzionamento di una certa area ai fini di un determinato processo cognitivo, ma non la sufficienza di quella sola area a tale fine; e si discutono anche altri problemi connessi all’interpretazione dei dati delle ricerche di neuroimmagine. Tutto ciò conduce Uttal alla seguente conclusione: “An alternative, and perhaps more realistic, point of view to the notion of isolatable cognitive-neural modules postulates a complex mind-brain system instantiated as a unified entity in which the various parts interact too strongly to be isolated. That they cannot be isolated from each other has to do with their fundamental nonlinear nature and heavy interconnectedness and not with inadequate research tools or incomplete data” (p. 204). Se egli avesse omesso la parola “unified” ed avesse ammesso un parziale ‘isolamento’, la sua tesi sarebbe stata davvero il giusto risultato delle premesse critiche delineate.

Nell’ultimo capitolo del testo, Uttal infine illustra questa sua conclusione tentando di convincere il lettore del fatto che sia opportuno tornare a un approccio di tipo comportamentista: “One other goal of this book has been to champion the resurrection of an underappreciated, yet scientifically sounder, approach to the study of psychological processes - behaviorism. […] Whereas the cognitive school has been predominant in recent years, it seems to me that a new look at some kind of a modernized and revised behaviorism is in order” (p. 206). Egli descrive una lunga serie di assunzioni che sarebbero alla base dell’approccio localizzazionistico, delle quali alcune ci sembra di poter dire assolutamente non accolte dai ricercatori che si occupano di neuroimaging (per esempio, l’assunzione per cui “brain regions are discrete and stable and relatively constant in location from person to person and from time to time” oppure “brain processes interact in simple ways”, e altre; pp. 212-214). In seguito oppone una altrettanto lunga lista di controassunzioni basate su un rinnovato approccio ‘comportamentista’, delle quali molte risultano condivisibili anche da chi, come la sottoscritta, ritiene che debba esistere un modo di indagare i processi cognitivi di alto livello nella loro struttura funzionale e nel loro (seppur complesso) substrato neuronale. Alcune assunzioni specifiche, tuttavia, risultano assai critiche: “Cognitive processes, particularly the more complex ones, are in large part indivisible and unitary. They cannot be analyzed into component, modules, or faculties because of the very strong interactions between what may only be apparently different aspects of cognition”, o ancora: “There are strong practical, social, human, humane, and conceptual forces that drive us, incorrectly, into accepting the reality of reducible and accessible components of mental activities”, o infine: “Neuropsychological studies in human beings are idiosyncratic, anecdotal, and of only marginal value in unraveling the organization of the brain-mind” (pp. 215-6).

Ipotizzare un modello di architettura cognitiva alla luce delle innumerevoli scoperte delle attuali neuroscienze cognitive è compito in effetti assai arduo, e tentare di connettere la complessità dei modelli con la complessità del nostro sistema nervoso centrale lo è ancor di più. E ciò è valido sia per i processi cognitivi più ‘complessi’, sia per la percezione e l’azione, essendo anche le aree sensoriali e motorie implicate nella rappresentazione della conoscenza, ed essendo strettamente integrate e multisensoriali. Se è pur vero che esistono aree cerebrali selettive per dominio, tale assunzione non può essere letta alla luce di un paradigma modularistico ‘forte’, ed apprezziamo Uttal nel suo mettere in luce che una diretta, unica ed esclusiva correlazione tra area cerebrale e processo cognitivo è spesso impossibile da stabilire (p. 16). Ciò non significa tuttavia che per alcuni aspetti la mente non abbia un funzionamento di tipo modulare. Alla luce di tutto ciò, le assunzioni di Uttal vanno prese con cautela: se da una parte è assolutamente positivo riflettere sulle nozioni di localizzazione e modularità, dall’altra per questa via si paventa l’errore di ricadere in una concezione equipotenziale del cervello (anche se da Uttal stesso negata, ma almeno per le aree associative sembra valere l’idea che abbiano un funzionamento ‘unitario’; cfr. p. 209), e comportamentista per lo studio della mente. Nonostante auspichiamo che quest’opera venga letta e favorisca lo sviluppo di una comune riflessione sulle tematiche trattate, riteniamo che il pessimismo con cui Uttal conclude la sua Prefazione, nella quale afferma che “In psychology the multidimensional complexity of the brain and behavior poses constraints that may never be overcome”, non sia condivisibile.

Riferimenti bibliografici

Carruthers Peter, The Architecture of the Mind: massive modularity and the flexibility of thought. Oxford: Oxford University Press, 2006.

Fodor  Jerry Alan, The Modularity of Mind. An Essay on Faculty Psychology. Cambridge: The MIT Press, 1983.

Gall Franz Joseph, Spurzheim, J.G., Anatomie et physiologie du système nerveux en général, et du cerveau en particulier avec des observations sur la possibilité de reconnâitre plusieurs dispositions intellectuelles et morales de l’homme et des animaux, par la configuration des leurs têtes. Volume IV. Physiologie du cerveau en particulier. Paris: Chez N. Maze, 1819.

Uttal William R., The New Phrenology : The Limits of Localizing Cognitive Processes in the Brain, Cambridge, MA: MIT Press, 2001.