Mattia Della Rocca

Genetica e mnemonica di un fatto scientifico. Recensione di Storia della malattia di Alzheimer di Matteo Borri, 2012, Bologna, Il Mulino.

Storia della malattia di Alzheimer di Matteo Borri, recentemente pubblicato nella collana di saggistica dei tipi de Il Mulino, racconta molto più della scoperta e della definizione del morbo senile osservato e descritto da Aloysius Alzheimer. La comunicazione da parte di Alzheimer del caso di Auguste D., “paziente zero” dell’indagine neurologica e psichiatrica sulla degenerazione della cognizione e del sistema nervoso degli anziani, rappresenta infatti per l’autore il punto di partenza a partire dal quale diviene possibile condurre il lettore nelle complesse, quanto affascinanti, vicende della psichiatria di inizio secolo. Dai corridoi dell’istituto psichiatrico di Francoforte sul Meno, dove il medico tedesco osservò per la prima volta la donna che fornì una “insolita osservazione” di demenza, chi sfoglia le 181 pagine che compongono il volume si ritrova a esplorare le innumerevoli difficoltà e contraddizioni di una disciplina, la psichiatria, in quell’epoca come mai alle prese con la necessità di essere scienza, con l’esigenza di collocare saldamente il suo oggetto di studio nella pura physis del corpo senza perdere di vista la complessità, ancora solo intuita, di un’anima che in poco più di mezzo secolo diverrà cognizione.

I primi anni del ‘900 restano, in una memoria collettiva troppo spesso ridotta a una rapida e superficiale cronologia dei progressi scientifici, gli anni dell’avvento della psicoanalisi. Sono gli anni delle appassionate difese, da parte Sigmund Freud e Carl Gustav Jung, di quelle strutture mentali che solo più avanti – nel futuro di una psicologia scientifica sognata, ma mai apertamente proclamata – avrebbero forse trovato la condizione di possibilità per essere ricondotte al funzionamento del sistema nervoso. Borri, con eleganza e chiarezza, riporta la psicologia dinamica alle sue reali dimensioni storiche, senza togliere loro nulla, quanto piuttosto armonizzandole sullo sfondo di un’appassionata ricerca scientifica e medica che, lungo tutta la prima metà del XX secolo, cercò senza sosta di comprendere la mente con tutti i mezzi a propria disposizione. E gli strumenti di Alzheimer, ci ricorda l’autore, sono quelli dell’istologia dei primi microscopi moderni, della mai sopita attenzione nell’indagine autoptica, della paziente e meticolosa registrazione delle tappe del decorso patologico. È un tortuoso ma continuo lavoro, racconta Borri al lettore, quello di Aloys Alzheimer e del suo gruppo di ricerca: ma è un lavoro basato sullo scambio continuo di osservazioni, critiche e correzioni con la comunità scientifica del suo tempo. Fu necessario quasi un decennio dalla prima osservazione del disturbo perché il padre della psichiatria, Emil Kraepelin, inserisse nell’ottava edizione del suo manuale la Alzheimerische Krankheit, la malattia di Alzheimer, accordandole infine lo statuto di categoria nosologica. Poco meno di dieci anni costellati però da un fitto scambio di opinioni, valutazioni e analisi degli scienziati della psichiatria dell’epoca: e proprio a partire da questo scambio, l’autore può disegnare i contorni del trovare, cercare e comunicare – come recitano i titoli dei primi capitoli del libro - la malattia impostasi all’attenzione di Alzheimer.

È in questo solco che si colloca uno dei meriti più notevoli dell’opera, vale a dire la ricostruzione del contributo italiano alla definizione della malattia di Alzheimer o, come essa veniva definita originariamente “malattia di Alzheimer – Perusini”. Borri ordina con cura le testimonianze della presenza italiana nel laboratorio di Monaco, collocando l’opera di Gaetano Perusini, Ugo Cerletti e Francesco Bonfiglio nel più ampio contesto della “nuova psichiatria” di marca kraepeliniana. Ma questa testimonianza, nella Storia della malattia di Alzheimer, non viene offerta all’attenzione del lettore come cristallizzazione di ciò che è stato: Borri sceglie infatti di raccontarla attraverso il canale principe della comunicazione intrascientifica, rendendo meravigliosamente chiaro il dinamismo che, mai come in quegli anni, costituiva e costituisce il cuore della metodologia di ricerca nelle scienze della mente.

Ad arricchire il già prezioso lavoro di Borri, l’introduzione del recentemente scomparso Paolo Rossi, aiuta a collocare questo volume nel solco di quella consolidata scuola italiana di storia e filosofia della scienza in Italia, dimostrando ancora una volta come l’indagine storica ed epistemologica possa essere a sua volta scienza: in questo caso, genetica del fatto scientifico e studio della memoria della conoscenza.

Riferimenti bibliografici

Borri Matteo, Storia della malattia di Alzheimer, Bologna, Il Mulino 2012.